Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/343

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PREFAZIONE


Lo animale ragionevole, lo quale per vivere o soperstizioso o lascivamente, ovvero che per falsa dottrina avvezzato e abituato non piú sente lo errore suo, ma cieco ed oblivioso nel grembo de la regina de’ peccati e difetti, che è la ignoranzia, sede e dorme, costui non pur di bestia peggiore, ma un’ombra, anzi uno niente si pò chiamare, come quello che non ode, non sente, non vede, non tocca piú di se stesso lo essere. Or dunque trovasi egli nel Caos, e a lui non è fatto ancora il mondo: dilché per divina pietade apparegli una fiammella d’intelletto, e cosí a poco a poco entra egli in cognizione di queste cose per lui da Dio criate e talmente vi affigge il core, che distinguendo e scegliendo va lo smisurato beneficio da Dio a lui dato. Ma non troppo egli vien poi rassicurato da questa nostra umana e corrotta natura, che non caschi o poscia egli cadere in alterigia, vedendosi essere di tante belle cose tiranno. Però l’anima, d’ogni macchia purgata, è nello stato che giá fu Adam (intendendosi questo allegoricamente) avanti lo gustato pomo: la natura gli è ancora incorrotta; non vi è lo tempo, non vi è la morte. Vero è che nel paradiso terrestre de la purgata conscienzia potrebbe ella facilmente con lo arbore del libero arbitrio fallire: o sia nel tornare a la soperstiziosa vita lasciando lo vangelo, secondo Livia; o sia per lo tribuire a soi istessi meriti la acquistata grazia, secondo Corona; o sia nel voler comprendere e diffinire la incomprensibil ed infinita potenzia di Dio, dando opera al studio de li nostri moderni teologi infruttuosamente per noi affaticati, secondo Paola.

T. Folengo, Opere italiane. 22