Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/13

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ultime lettere di iacopo ortis 7


vedeano su l’alba saltare i fossi e sbadatamente urtar gli arboscelli, i quali, crollando, mi pioveano la brina su le chiome; e cosí affrettarmi per le praterie, e poi arrampicarmi sul monte piú alto, donde io, fermandomi, ritto ed ansante, con le braccia stese all’oriente, aspettava il sole onde querelarmi con lui perché piú non sorgeva allegro per me. Ti additeranno il ciglione della rupe, sul quale, mentre il mondo era addormentato, io sedeva intento al lontano fragore delle acque ed al rombare dell’aria, quando i venti ammassavano quasi su la mia testa le nuvole e le spingevano a involvere la luna, che, tramontando, ad ora ad ora illuminava nella pianura co’ suoi pallidi raggi le croci conficcate sui tumuli del cimiterio; e allora il villano de’ vicini tuguri, per le mie grida destandosi sbigottito, s’affacciava alla porta, e m’udiva in quel silenzio solenne mandare le mie preci, e piangere, e ululare, e guatare dall’alto le sepolture, e invocare la morte. O antica mia solitudine! Ove sei tu? Non v’è gleba, non antro, non albero che non mi riviva nel cuore, alimentandomi quel soave e patetico desiderio che sempre accompagna fuori delle sue case l’uomo esule e sventurato. Parmi che i miei piaceri e i miei stessi dolori, i quali talvolta in que’ luoghi m’erano cari, tutto insomma quello ch’è mio, sia rimasto tutto con te; e che qui non si strascini pellegrinando se non lo spettro del povero Iacopo.

Ma tu, mio solo amico, perché appena mi scrivi due nude parole, annunziandomi che tu se’ con Teresa? E non mi dici né come vive, né se osa piú di nominarmi, né se Odoardo me l’ha rapita? Corro e ricorro alla posta, ma invano; e torno lento, smarrito, e mi si legge nel volto il presentimento di grave sciagura. E mi par d’ora in ora udirmi annunziare la mia sentenza mortale: — Teresa ha giurato — Oimè! e quando mai cesserò da’ miei funebri deliri e dalle mie folli lusinghe? D’illusione in illusione!... Addio, addio.