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42 iv - seconda redazione delle


quarto volume delle tragedie dell’Alfieri. Ne scorse alcune pagine: poi lesse forte:

          Chi siete voi?... Chi d’aura aperta e pura
          qui favellò?... Questa? è calighi densa,
          tenebre sono; ombra di morte... Oh mira!
          piú mi t’accosta; il vedi? Il sol d’intorno
          cinto ha di sangue ghirlanda funesta...
          Odi tu canto di sinistri augelli?
          Lugubre un pianto sull’aere si spande,
          che me percote, e a lagrimar mi sforza...
          Ma che? Voi pur? Voi pur piangete?...

Il padre di Teresa, guardandolo, gli diceva: — O mio figlio! — Iacopo seguitò a leggere sommessamente: aprí a caso quello stesso volume, e, tosto posandolo, esclamò:

          Non diedi a voi per anco
          del mio coraggio prova: ei pur fia pari
          al dolor mio.

A questi versi Odoardo tornava, e gli udí proferire cosí efficacemente, che si ristette su la porta pensoso. Mi narrava poi il signore T*** che gli parve in quel momento di leggere la morte sul volto del nostro amico infelice, e che in que’ giorni tutte le parole di lui ispiravano riverenza e pietá. Favellarono poi del suo viaggio; e, quando Odoardo gli chiese se starebbe di molto a tornare: — Sí — rispose, — sono certo che non ci rivedremo piú. —

Ridottosi a casa su l’imbrunire, desinò; né comparve fuori di stanza che la mattina seguente assai tardi. Porrò qui alcuni frammenti ch’io credo di quella notte, quantunque io non sappia assegnar veramente l’ora in cui furono scritti.

Viltá? E tu che gridi viltá, non se’ uno di quegl’infiniti mortali, che infingardi guardano le loro catene, e non osano piangere, e baciano la mano che li flagella? Che è mai l’uomo? Il coraggio fu sempre dominatore dell’universo, perché tutto è debolezza e paura.

Tu m’imputi di viltá, e ti vendi intanto l’anima e l’onore.

Vieni; mirami agonizzare boccheggiando nel mio sangue. Non tremi tu? Or chi è il vile? Ma trammi questo coltello dal