Pagina:Foscolo - La chioma di Berenice, 1803.djvu/225

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erudite ed eruditi e scabrosissimi nulla. Pendendo tanta lite, lo Scaligero stabili nel carme xvii, vers. 6 di Catullo la seguente lezione:

In quo vel salisubsuli sacra suscipiunto,

fidando nel verso di Pacuvio:

Pro imperio sic salisubsulus nostra excubet.

Ma chi crederebbe che questo Pacuvio è pur quello stesso Mureto, che tornò ad ingannare Ilo Scaligero, quel dottissimo, che il Volpi chiama padre de’ critici? Ma io vorrei che cessasse questa libidine di codici, e di varie lezioni, e di volumi sopra l’abbicci e sull’uso d’un pronome: e questi sono i fasti della bella letteratura italiana ne’ secoli passati! Quintiliano si querelava (ist. lib. ix, cap. 4) sin dal suo tempo degli emendatori di Livio. E la libidine ricomincia a penetrare le fibre cornee degli eruditi italiani, che, violando le prime ed ottime edizioni di Dante Alighieri, e specialmente quella del mdcxcv, vanno ripescando stravaganti lezioni nelle tarlature de’ codici, traendo, per così dire, il divino poema da quel santuario ov’è per tanti anni culto da’ posteri. La edizione Bodoniana di Dante ridonda di sì care eleganze; opera tutta di monsignore Dionisi Veronese. Una sola recherò,

     — Et crimine ab uno
     disce omnes.

Scrisse Dante (ìPurgat. cant. xxx, v. 13), mirando alla risurrezione de’ morti nel giudizio finale:

     Quale i beati, al novissimo bando,
          Surgeran presti, ognun di sua caverna,
          La rivestita carne alleviando.

Ove monsignore corresse, per sé e pe’ suoi pari, poiché noi profani non ci arriviamo:

          La rivestita voce allelujando.