Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/281

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inno terzo. 263

Reggia che al par d’Atene ebbe già cara:
Or questa sola alberga, or quando i Fati
145Non lasciano ad Atene altro che il nome.
     Isola è in mezzo all’oceàn, là dove
Sorge più curvo agli astri; immensa terra,1
Com’è vetusto grido, un dì beata
D’eterne mèssi e di mortali altrice.
150Ma indarno, ora del nostro or dell’avverso
Polo gli astri invocando, oggi il nocchiero
La chiede all’onde: e se il desio lo illude,
Biancheggiar mira i suoi monti da lunge,2
E affretta i venti, e per l’antica fama
155Atlantide l’appella. In Elicona
Detta è palladio ciel, dacchè la santa
Palla-Minerva agli abitanti irata,
Che il suol fecondo e le promiscue nozze
Fean pigri all’Arti e sconoscenti a Giove,
160Dentro l’Asia gli espulse, e l’aurea terra
Cinse di ciel soltanto aperto ai Numi.
Onde, qualvolta per furor di regno
Pugnano i prenci, o i popoli alla bella
Libertà danno umane ostie esecrate,
165O danno a prezzo anima e brandi all’ire
Di tiranni stranieri, o a stolta impresa
Seguon avido sir che a sconosciute
Genti appresta catene e lutto a’ suoi;3

  1. 146-47. Intende l’Atlantide, come spiega più sotto, isola celebre per ciò che ne scrissero Platone, Strabone, Plinio ed altri antichi; ma che tuttavia dai più vien riputata favolosa. Il primo dei citati Autori, e che ne parla a lungo, particolarmente nel suo dialogo intitolato Critias, sembra che la collochi nell’Oceano Atlantico, oltre lo stretto di Gibilterra. Sotto all’equatore la colloca pure il Poeta. — Pongasi mente alla figura sferoidale del globo terraqueo, alquanto depresso ai poli, più rilevato all’equatore, e s’intenderanno facilmente questi due versi.
  2. 152-53. Allude a quello stupendo fenomeno che si offre sovente a chi viaggia pei deserti o sui mari, e che consiste in una vivacissima illusione ottica, per la quale sembra di vedere spesso e fiumi, e amene praterie, ed isole ed altri oggetti di tal sorta, i quali però si dileguano tosto che l’uomo vi si appressa. Molti e solenni esempi ne riferisce l’Autore americano della vita di Cristoforo Colombo. (Vedi Washington Irving, Vita ec.)
  3. 162-73. Bellissima e degna di un Poeta che avea cinto la spada per la libertà e per la gloria, ma che sdegnò cingerla per la servitù della sua patria, è la distinzione fra la guerra oppressiva ed empia, e quella liberatrice e santa. Alla prima presiede Marte figlio della sola Giunone, cioè della Terra; alla seconda, la prole della mente di Dio, Minerva. Le Gorgoni erano tre: Steno, Eurialo e Medusa. Quantunque d’ordinario i Poeti narrino che sullo scudo di Minerva era soltanto lo spaventevole teschio della terza, pure Esiodo sullo scudo d’Ercole, nel Poema dello stesso titolo, le colloca tutte e tre.