Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/36

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A te, ma il taccio; e mite oprando, mite

Teco i’ favello; or tu rispondi. In Argo
Sai tu chi regna? sai ch’è il regio cenno
Santo? sai tu chi sei? – Taci? ben io
Dirollo. Il re son io. Tu... ma che dico
Che tu non sappia? Ove apprendesti dunque
Te a frapporre a’ miei cenni? e il figlio torti
Contro il divieto mio? Qual mai t’indusse
Pensiero a ciò?
Erope. Tu il chiedi? A ciò m’indusse
Pensier di morte... O che dich’io! – Son madre:
E mia discolpa è questa.
Atreo. A vera e dritta
Madre di prole non orribil, sacra
Questa fora discolpa: altra più forte
Ben per te vuolsi a vïolar mie leggi;
Leggi di re. – Pure di te men prende
Pietà; quantunque me tirán tu nomi;
Ed io, tiranno, ti do pena, e pena
Sia mia clemenza, e lo spavento e l’onta,
Che hai di te stessa tu. – Duolmi, che pianto
Mi veggia intorno, e che materne m’oda
Sonar querele, e ciò pel figlio: io quindi
Dareilo pronto, ove temprar potessi
Cotanta angoscia, e del regale nome
Assicurar la mäestà: ma impresa
È malagevol questa, e non concorda
Ragion di stato a imbelle affetto.
Erope. Pera
Tutto, mio figlio: altra non so ragione
Intender io.
Ippodamia. (1)
Qual tu l’attesti, m’ami?
Or danne pruova, e me conforta, e dona
Alla madre il fanciullo.
Atreo. Mal tu libri
Quanto mi chiedi: a pochi ei noto, pochi
Sanno del par da qual delitto impuro,

  1. ad Atreo