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Fascio Terzo. 223

Quivi un Putto vid’io sù per la scala,
     C’havea di secchi Allori una gran massa
     E un acceso carbon dentro una Pala.
A tal vista io gridai (mentre s’abassa
     L’hoste, e gli allori miei d’arder presume)
     La pena de’ Poeti a i Lauri passa.
Sù, sù Lauro immortal cangia costume;
     E già che vuol così Secol vitioso,
     Se già l’ombra mi dasti, hor dammi il lume.
S’apria da basso un Campidoglio untoso
     Ove suol trionfar sera, e mattina
     De le flemme digeste un Huom famoso.
Per assalto di Luccio, ò di Vaccina
     Qui trionfa un Campione, e opime spoglie
     Son del rotto Digiun l’osso, e la spina.
Qui la fame campestre un Hoste toglie.
     Mentre di Samo, e di Temese in olle
     Per le Viscere altrui Viscere accoglie.
Qui frà cibi di mar, d’aria, e di colle,
     In più fogge, in più bande, in un sol punto
     Sacrificij di Gola un foco bolle.
Stava intorno a le fiamme un huom bisunto,
     Ch’arso indarno sarebbe, ò imbalsamato
     Cotanto in vista era infocato, & unto.
Quest’unto Piracmon, Bronte abbruggiato
     Sù l’incude d’un Banco havea le dita;
     Perc’havesse il martel qualche affamato.
Questi hor facea col Sal l’acqua scaltrita
     Hor di spetie condia carne di morti,
     Per balsamar de’ Magnator la vita.
Hor dal bollor visti i carboni assorti,
     Facea reflusso a tumida marina,
     Ove l’Occaso havea l’herbe de gl’Orti.