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Fascio Terzo. 261

Mortali, ò voi, che da le Stelle havete
     D’alimenti fecondo un pingue suolo,
     Ne le miserie altrui deh riflettete
     Di dotata Fortuna un raggio solo,
     Ne la fame, che n’ange, e ne la sete
     Temprin vostre letitie il nostro duolo;
     Che il Ben, versato in Povertà mendica
     Seme farà multiplicato in Spica.

Mà che val l’Eloquenza? un membro mozzo
     Haver anco potea che era vano,
     Con la muffa barbuta un secco tozzo,
     Non v’era un Huom, che gli appettasse in mano,
     Al arse sete humidità d’un Pozzo,
     Nè pur si offria, che veramente è strano
     Altro mai non udian per ogni Terra
     Che A la Forca Guidoni, ite à la Guerra.

Incocciava qual Rospo a le sassate
     L’ostinato Mercurio a i fieri detti;
     E perche i Ricchi in quell’avara Etate
     Le Poesie chiamavano diffetti,
     Chiedea mercede in prosa: e dicea. Date
     L’elemosina à questi Poveretti;
     Ma solo udia dal popolo rapace
     Queste secche parole, Andate in pace.

Una Donna in Balcon le chiome aurate
     Spandea d’Emulo Sole à i paragoni,
     Fissò Mercurio in lei luci impensate,
     E le disse così le sue ragioni;