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capitolo liv 313


Nel 1835, quando infieriva il cholera a Marsiglia, un giovine italiano, che generosamente si era arrolato in un’ambulanza per la cura dei cholerosi e che ogni notte doveva con un compagno — dividendosi per metà il servizio — assistere gl’infelici colpiti dal morbo, quel giovine, passando a caso per una via di Saint-Jean, fu preso per un avvelenatore dalla plebe, che vedeva avvelenatori dovunque. Un berretto rosso, ch’egli portava senza distintivi e senza significato, era stato forse causa dell’equivoco. Era l’italiano svelto e robusto: ciò gli valse da principio, ma cosa avrebbe potuto fare alla fine contro un torrente d’uomini, di donne e fanciulli che si precipitavan su di lui? La situazione diventava disperata, e già gli piombavan colpi da tutte le parti, contro cui schermivasi come poteva, ma che avrebbero finito per sterminarlo. Poco dopo si sarebbe vociferato per Marsiglia che il bravo popolo di Saint-Jean aveva salvata la città da un avvelenatore.

Una donna scapigliata, e per fortuna robustissima, presentossi sulla scena. Essa aveva osservato tutto dalla finestra. Avventossi come una furia nel più folto della moltitudine, e con una voce stentorea esclamava: «Quello è mio figlio!... mio figlio! mio figlio!» ed alle parole accompagnando le busse, giunse fino al giovine, che strinse nelle sue braccia e coprì col nerboruto suo corpo.

Essa era stata veramente la balia del giovine