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— la graziosa contadina dell’Agro palermitano — le tre vestite a foggia del paese, e favorite dalla prima oscurità d’una notte di maggio.

Ho già detto: la terra del Vespro non è terra da delatori, ed era probabile che tre ragazze del paese, appartenenti al ceto rurale, potessero entrare senza eccitar sospetti nella popolosa capitale.

Mentre però passavan le tre sotto il primo riverbero di Piazza reale, due occhi somiglianti a quei del serpente1 si fissarono sul bel volto di Marzia, e vi cagionarono l’effetto della scintilla elettrica — ma malefica, ma funesta come quella vibrata dalla cupa, nera partoriente delle tempeste sulle dominanti torri del feudo o della bottega pretina.

La coraggiosa fanciulla — che abbiam veduto alla testa degli eroi di Calatafimi in quella solenne pugna — fu padroneggiata da tal brivido in tutte le membra, le luci le si ottenebrarono in tal modo, che non sentiva più il terreno sotto i piedi, traballò come in uno stato d’ubbriachezza, e senza il sostegno di Lina — a cui s’appoggiò subito — si sarebbe rovesciata sul macigno del marciapiede su cui transitavano.

«Celeste dote è negli umani — la corrispondenza d’amorosi affetti», dice Foscolo, che

  1. Mi è successo io America, coricandomi sul campo colla testa su di un cespuglio erbaceo, di esser costretto a cambiar di giaciglio per l’apparizione di due luci nello stesso, che appartenevano certo ad un serpe.