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Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/440

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434 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO dannare gli eccessi cui abbandonossi il pubblico nostro lunedi sera. Vi basti dire che la Maria di Rohan sembrava nè più nè meno che un’opera buffa; orchestra svogliata, cori senza colore e senz’accento, artisti che non sapevano nè potevano rilevarne quelle bellezze che a larghi tratti appariscono ne’ due primi atti, e spessissimo nel terzo. Il più sostenuto adagio era divenuto un allegretto, fortissimi ad ogni piè sospinto e senza alcuna ragione. Tutto sommato orrori, orrori, orrori. E degli artisti? Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria, e per Acuto fu gran cruccio l’assistere agli sgarbi cui il pubblico fè segno il De Bassini dopo averlo altre volte tanto festeggiato. Ma chi la vuole se la tenga, e il De Bassini che senza alcuna ragione al mondo si ostina a cantare ancora e per soprassello in opere dove il baritono deve tanto lavorare, vuole spontaneamente esporsi al dileggio, e Dio faccia che la lezione amara di lunedi a sera gli giovi consigliandolo ad una ritirata comechè per niente brillante. La Maio fu riprovata in più d’un punto dove le parve bella cosa lo sfoggiare agilità in onta alla sua voce ribelle appunto al canto fiorito; in generale mi parve insufficiente e attrice poco esperta; forse in una parte di minore impegno potrebbe passare al nostro massimo. Il tenore Celada andò bene ma non capisco perchè volle abbassare la sua aria al secondo atto, mentre ha tutte le note acute. De’ due pezzi aggiunti a Parigi per la Brambilla, la d’Aurio cantò solamente la cavatina: Per non istare in ozio, e questa pure assai male. Don Antonio si merita una tiratina d’orecchi per aver allestita una Maria di Rohan sì fatta, ha dritto a molte lodi per aver splendidamente messo in scena il ballo del Monplaisir. Figuratevi pel solo ballabile delle monete ha messo fuori duemila lire, e dicesi che l’intera spesa ascenda a settantamila lire. Evviva Musella, quest’anno è proprio in mortai contrasto con Monna spilorceria. Il ballo intanto è di quelli spettacolosi, nè io vorrò farvene una troppa minuta analisi, convinto come sono che al coreografo mancano sempre molte delle risorse che rendono al poeta drammatico più libera e più piana la via di chiaramente esporre il soggetto. Non posso trattenermi dal notare però che il Monplaisir, volendo abbracciar troppo, giunse a stringere poco o nulla; e comunque il suo ballo sia soverchiamente lungo, pure non è bastevole al vasto concetto che balenò alla mente del suo autore. Il ballo tuttavia è stupendo per quello che riguarda le scene e il vestiario ma farebbe bene l’autore ad accorciarlo alcun po’. Forse il pubblico in generale non notò questa lunghezza, perchè essendo S. M. il re in teatro, il ballo fu dato dopo il primo atto dell’opera. Fra qualche sera udremo la Favorita con la Waldmann, il Patierno, lo Sterbini ed il Miller. Sarà diretta dall’egregio maestro Serrao, che il Musella ha scritturato e ne merita lode. Al teatro de’Buffi Napoletani andò in scena un’opera delFAltavilla, scritta già nel 1844 e rappresentata al Fondo l’anno appresso. Intitolasi I Pirati di Baratteria, ed io inclinerei a chiamarla la Baratteria d’un pirata; rinnovato cosi il titolo credo dispensarmi da ogni giudizio critico su questa meschinissima produzione che dovrebbe dormire sonni profondi. Ieri sera si aperse il teatro Nuovo; cantanvi molti degli artisti scritturati al teatro de’Buffi Napoletani, e l’impresario è lo stesso Bettola; hanno rappresentato II Birraio di Preston, ma non vi fui perchè i teatri secondarii nella sera del Natale sono di dominio esclusivo della minutaglia, la quale non è sempre calma spettatrice. Andai invece al S. Carlo, dove sul cartellone vidi appiccato un cartellino manoscritto: questo avvisava il pubblico che il De Bassini non poteva cantare per un abbassamento di voce, ma che per non far mancare lo spettacolo si sarebbero dati solamente due atti della Maria di Rohan, primo e secondo, e chi voleva poteva farsi restituire il danaro del biglietto... però fino alle cinque. Non fui più in tempo e dovetti mio malgrado assistere alle scene mimiche del De Bassini, acconciarmi e udire tratto tratto qualche nota del registro medio della Maio, perchè non bisogna chiederle nè suoni acuti nè bassi, e qualche cosa di buono fatto dal solo Celada. Scandali non avvennero, ma non v’erano abbonati. Ciò m’induce a credere che questo spettacolo non è più possibile con gli abbonati. — Buon capo d’anno. jAcuto. PARIGI 25 dicembre. Musica religiosa — Le Messe di Natale — Rendiconto sommario dell’annata. — Promesse pel nuovo anno in fatto d’opere teatrali. Non dirò che tutti quelli che accorrono nelle chiese il giorno di Natale siano spinti da un sentimento di pietà ardente o di fede religiosa. Ve n’ha al certo che vi vanno per adempiere le pratiche del culto, ma non è scarso il numero di coloro che vi sono attirati dall’attrattiva della musica sacra. In questo giorno le principali chiese di Parigi, fanno eseguire una messa in musica, sia del repertorio classico, sia di qualche compositore moderno. Quest’anno, come gli altri, i contemporanei non sono stati negletti. Quelli che hanno ottenuto maggior successo sono il signor Guilmant, organista della Trinità, che ha dato in questa chiesa una messa, la terza, tra quelle che ha composto, e nella quale è un bellissimo Credo, e la signora de Grandvai la quale anch’essa ha fatto eseguire la sua messa nella bella chiesa di S. Eustacchio. Non avendo il dono dell’ubiquità, non ho potuto assistere che ad una di esse, ed ho scelto quella di Guilmant. Non posso dunque far paragoni; mi limito a far l’elogio della sola che abbia intesa. Non so perchè le voci di donna sono di nuovo eliminate dalle chiese. Vi suppliscono i fanciulli, o i rari cantori eccezionali, che per un fenomeno della natura, giacché il barbaro uso di evirar in fasce i futuri cantori per farne dei soprani non è più in vigore, hanno un genere di voce che si approssima assai a quella dei contralti e che qui chiamano hautecontre. In quanto ai soprani, i fanciulli enfants de choeur, ne fanno più o meno le veci. Ma sarebbe conveniente che si risolva una volta per sempre, se le donne sono ammesse o no a cantar nelle chiese. I compositori saprebbero su che contare, e non si dovrebbe ogni volta domandare una. permissione, che può essere data, ma che il più sovente è ricusata. Una delle due: o si trova inconveniente che le donne cantino in chiesa, anche non a vista del pubblico, ed allora non dovrebbero farlo mai, neppure nei casi ecccezionali, o non c’è nessun male a lasciarle cantare, e perchè si rifiuta loro la facoltà di farlo? All’esequie di Rossini TAlbani e la Patti cantarono frammenti dello Stabat’, in alcune messe di S. Eustacchio hanno cantato le prime donne deifi Il più delle volte il pubblico può udirle senza vederle, qual male deriva adunque dalla loro presenza alla chiesa? E la donna per sè stessa che può dare cattivi pensieri? o è il canto? Se è la donna, non ve ne sono forse centinaia tra quelli che assistono al divino ufficio? Se è il canto non capirei perché quello di un tenore può dare meno distrazioni che quello di un soprano o d’un contralto... Ma lasciamo quest’argomento che mi menerebbe troppo lontano. Ritorniamo alla musica teatrale. Qui almeno la critica è più libera e non rischia di urtarsi contro qualche canone o qualche principio di liturgia. L’anno 1872 è al termine, e non conterà certamente nel numero di quelli che hanno dato una più abbondante raccolta. Parlo, ben inteso, d’opere teatrali. Nessun’opera nuova nè francese, nè italiana! Qualche opera comica e quel che chiaman qui operette, vale a dir forse più che buffe in tre, quattro, ed anche più atti. Risultato ben povero! E triste cosa il pensare che v’è qui un teatro che ambisce al titolo di prima scena musicale del mondo (?) un teatro che chiamasi l’accademia di musica e danza, l’Opéra, insomma, con una «sovvenzione di ottocentomila franchi l’anno, e che lascia passare un anno intiero senza dar un’opera nuova! E nessuno se ne lamenta.