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140 Codice cavalleresco italiano

lità di offesi, o non sono stati provocatori, o quando per taluni casi, le offese non sono patenti, o non hanno carattere privato:

ART. 240.

a) il gentiluomo che ha compiuto i cinquantacinque anni;

b) i Senatori e i Deputati per discorsi fatti in Senato o al Parlamento, se i loro discorsi non contengono offese rigorosamente personali1;

c) il testimone che depone sotto il vincolo del giuramento e l’avvocato e i magistrati, ai quali si voglia chieder conto di frasi vivaci, pronunciate nell’esercizio delle loro funzioni, purchè esse non intacchino, senza ragionevole motivo, l’onorabilità altrui e non implichino offesa verso persona estranea alla causa discussa. Ciò ben inteso, vale anche per le Conclusionali scritte o stampate, ecc.2;

  1. Il giurì d’onore Pisa, 4 novembre 1922, presidente generale Felloni, in vertenza Forfori-Morghen confermò il principio cavalleresco nei riguardi della disciplina militare: che un superiore comandante di Corpo, non possa nè debba fornire spiegazioni, dare giustificazioni o rendere comunque ragione degli atti che egli compie nell’esercizio del suo ufficio se non ai Superiori diretti; però, chiunque nell'esercizio legittimo delle proprie funzioni arreca a terzi offese rigorosamente personali, di quelle deve risponderne in campo cavalleresco.
  2. La semplice richiesta al magistrato di ordinare la cancellazione delle scritture offensive dalle comparse conclusionali, dalle note, ecc., in conformità dell’art. 398 del Codice penale, non impedisce l’azione cavalleresca. Lo impedirebbe qualora alla richiesta della cancellazione si unisse la domanda di applicare le pene disciplinari e la riparazione pecuniaria contemplate dal citato art. 398.
         Inoltre, negli scritti dei patroni deve sempre presumersi inesistente la intenzione di offendere il patrono avversario,