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10 Codice cavalleresco italiano

presentanti dell’offeso; a meno che si preferisca considerare il rifiuto di sottoporre la vertenza, od i punti controversi, ad un arbitraggio, o a un giurì, come rinuncia a qualsiasi soddisfazione nell’offeso, o riconoscimento esplicito del proprio torto in chi offese.

Non altrimenti si agirà di fronte a qualsiasi altro mezzo posto in essere per impedire il funzionamento dell’arbitraggio o del giurì o della Corte.

Nota. — La maggior parte degli scontri cavallereschi è determinata da cause in apparenza futili e perciò di facile componimento. Se vertenze provocate da offese di poco conto (quando cioè: sono escluse le vie di fatto, la turbata pace domestica, ecc.) si risolvono violentemente col duello, la colpa cade più sulla inesperienza, o sulla malavoglia dei rappresentanti, piuttosto che sulla volontà o sul risentimento degli avversari.

L’errore sta nel fatto che i rappresentanti fanno spesso propria la ragione del rappresentato, e non discutono i motivi che originarono la vertenza.

Da ciò i duelli più immorali ed assurdi. È per questa negligenza, infatti, che si accorda sfogo a tutte le più furiose ed abbiette passioni, e si rendono attuabili i più freddi ed efferati calcoli, facendo luogo a tutti i secondi fini.

ART. 9.

Tutte le volte che l’ingiuria, l’offesa, l’oltraggio, non furono provocati o giustificati, od originati da erronei apprezzamenti di fatti, non deve essere ammessa la soluzione con le armi. Di conseguenza, i quattro rappresentanti dovranno risolvere la vertenza in via pacifica, con un verbale, se concordi; o con l’appello ad un arbitro, o a un giurì, se discordi sulla forma della soluzione pacifica; alla Corte d’onore, se in disaccordo sulla sostanza della vertenza.