Pagina:Gelli - Codice cavalleresco italiano.djvu/65

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Libro primo 39


le ragioni dell’appello, nell’intento di provare esattamente e la domanda della soddisfazione, e l’ora della domanda, ecc., nel fine di evitare contestazioni, mentite e dibattiti inopportuni. Sulla forma poi del cartello i due autori parlano ancora più chiaramente; e dopo aver dimostrato la necessità morale della correttezza nella forma, biasimano con parole gravi l’operato di coloro che, inesperti del vivere civile e dei doveri che l’educazione impone ad ogni gentiluomo, si fanno lecito d’inserire nel cartello di sfida, o nelle lettere di nomina a rappresentanti, parole o affermazioni che possono ledere l’amor proprio, o l’onore, o l’onestà dello sfidato. Chi opera in tal guisa è un mascalzone, e chi riceve comunicazioni di tal fatta, ha il sacrosanto diritto di respingere il cartello, e anche di reagire con la violenza contro codesti volgari, ignoranti e falsi gentiluomini. Tutto ciò che tocca la cavalleria deve essere corretto sino allo scrupolo; nè la domanda di una soddisfazione deve assumere il carattere di grave provocazione novella.

Felice Cavallotti, che in fatto di pratica cavalleresca fu maestro ai maestri, in una sua lettera del 26 ottobre 1880 (Rivista di Roma, novembre 1904), narra come egli accolse una lettera di sfida ingiuriosa direttagli dal conte Nasalli.

«A seguito delle mie dichiarazioni il tenente Araldi, uno dei due padrini, dichiarossi latore di una lettera del suo rappresentato capitano Nasalli. Alla mia immediata domanda se era offensiva, risposto che sì, io replicavo che gli inibivo di leggerla, dandogliela per letta, e ritenuto che qualunque parola del Nasalli non sarebbe stata più altro rilevata da me; che per solo riguardo ai latori, trovantisi in casa mia, non la laceravo sotto i loro occhi, e mi accontentavo senza leggerla di bruciarla».

ART. 68.

I rappresentanti non accettano di portare la pro-