Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/29

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CANTO UNDECIMO. 17

XLVII.


     Viene avventando la volubil mole
Lance e quadrella, e quanto può s’accosta:
E, come nave in guerra nave suole,
372Tenta d’unirsi alla muraglia opposta.
Ma chi lei guarda, ed impedir ciò vuole,
Le urta la fronte, e l’una e l’altra costa:
La respinge con l’aste, e le percuote
376Or con le pietre i merli ed or le rote.
    

XLVIII.


     Tanti di qua, tanti di là fur mossi
E sassi e dardi, ch’oscuronne il Cielo.
S’urtar due nembi in aria, e là tornossi
380Talor respinto onde partiva il telo.
Come di fronde sono i rami scossi
Dalla pioggia indurata in freddo gelo,
E ne caggiono i pomi anco immaturi;
384Così cadeano i Saracin da i muri.
    

XLIX.


     Perocchè scende in lor più grave il danno,
Chè di ferro assai meno eran guerniti.
Parte de’ vivi ancora in fuga vanno,
388Della gran mole al fulminar smarriti.
Ma quel che già fu di Nicea Tiranno
Vi resta, e fa restarvi i pochi arditi.
E ’l fero Argante a contrapporsi corre,
392Presa una trave, alla nemica torre.