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312 LA GERUSALEMME

LXVIII.


     Soletta a sua difesa ella non basta:
E già le pare esser prigiona e serva:
Nè s’assicura (e presso l’arco ha l’asta)
540Nell’arme di Diana, o di Minerva.
Qual’è il timido cigno a cui sovrasta,
Col fero artiglio, l’aquila proterva,
Che a terra si rannicchia, e china l’ali;
544I suoi timidi moti eran cotali.

LXIX.


     Ma il Principe Altamor, che sino allora
Fermar de’ Persi procurò lo stuolo
Ch’era già in piega, e in fuga ito sen fora,
548Ma il ritenea (bench’a fatica) ei solo;
Or tal veggendo lei ch’amando adora,
Là si volge di corso, anzi di volo:
E ’l suo onor abbandona e la sua schiera;
552Purchè costei si salvi, il mondo pera.

LXX.


     Al mal difeso carro egli fa scorta,
E col ferro le vie gli sgombra innante.
Ma da Rinaldo e da Goffredo è morta,
556E fugata sua schiera in quell’istante.
Il misero se ’l vede, e se ’l comporta,
Assai miglior che capitano, amante.
Scorge Armida in sicuro; e torna poi,
560Intempestiva aita, ai vinti suoi.