Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/218

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alla capacità di questo cranio — pensò lo scienziato — corrisponde il volume del midollo cerebrale, qual genio portentoso... qual grande scellerato dev’essere costui!...

Indubbiamente quell’uomo era un mostro; pure, alla immane testa non poteva rimproverarsi altro difetto fuor quello di essere sproporzionata al restante della persona. Spiccate il capo al Mosé di Michelangelo e ponetelo sulle spalle di un nano, voi avrete una immagine approssimativa dello strano personaggio.

I suoi grandi occhi bovini, coronati da grandi sopracciglia e iniettati di sangue, rivelavano una straordinaria potenza di percezione.

L’espressione del suo sguardo era tetra, non sinistra. Le grosse labbra, perfettamente delineate, dinotavano la energia e il sensualismo di un carattere ardente.

Era una testa che a primo tratto eccitava lo sgomento e il ribrezzo, ma l’occhio che sovr’essa osava arrestarsi un istante, ne rimaneva abbagliato.

La corporatura, comparativamente tozza e deforme, si faceva ammirare per lo spiccato rilievo dei contorni. Sotto la elegante sopraveste del nano si indovinavano un torace di granito, due braccia di acciaio e una muscolatura da atleta.

Il Virey, dopo aver contemplato in silenzio i singoli tratti di quel fenomeno vivente, prese animo a parlargli:

— Potete voi affermare dei diritti legali sulla suora che io intendo esportare per opera di carità umana?... In tal caso soltanto...

— Dessa mi appartiene! — interruppe il nano vivamente. — Interrogatela!... Non posso supporre che ella abbia obliati gli impegni con me presi or fanno pochi minuti.

— Noi apparteniamo alla umanità tutta intera — rispose l’Immolata sospirando; — ma quelli che soffrono,