Pagina:Giacomelli - Dal diario di una samaritana, 1917.djvu/36

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Li 22. — Stamane si sentiva più che mai cantare in sala tre. Eppure è la sala che si traversa (io non vi sono adibita) con la pena maggiore, perchè vi sono i feriti al capo, al viso, agli occhi... E son proprio i ciechi che cantano. E’ singolare come, fra tutti i feriti, i ciechi sieno di solito i più sereni, taluni perfino allegri.

E’ una delle cose che più commuovono e più fanno sentire il trionfo dell’anima su tutte le disgrazie del corpo, — giacchè, perchè questo avvenga, bisogna essere buoni. Solo i buoni meritano quella luce interiore, che non solo compensa della mancanza della luce del sole, ma che, alle volte, dà dei conforti ancora più grandi di quelli che possono avere coloro che vedono con gli occhi del corpo.


Li 23. — Avevo trovato ieri, nelle mie scansie, ancora due copie di un bellissimo opuscolo del generale Turletti, (ora purtroppo esaurito) Lettere da casa. Furono accolte con gran gioia, come quasi sempre, quando si offre qualchecosa da leggere, anzi ancor più, perchè la copertina è bella e il titolo suggestivo.

Oggi domandai ad uno di sala sei: «E così, le è piaciuto quel libretto?» Aveva l’aria disillusa. «E’ per la guerra» disse, quasi mortificato. Risposi dicendo come l’Italia abbia dovuto entrare anch’essa in guerra, per la necessità e il dovere di aiutare le nazioni alleate contro la prepotenza e la barbarie della Germania e dell’Austria, alleate della Turchia, di riprendere i propri confini, liberando le terre irredente, d’impedire un’invasio-