Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano II.djvu/19

Da Wikisource.

dell'impero romano cap. xi. 13

pero, la cui imminente rovina avrebbe (non essendo a tempo prevenuta) oppresso e l’esercito e il popolo.

[A.D. 269] Le varie nazioni della Germania e della Sarmazia, che combattevano sotto le gotiche insegne, avevan già raccolta un’armata più formidabile di qualunque altra che mai fosse uscita dall’Eusino. Sulle rive del Niester, uno dei gran fiumi che sboccano in quel mare, essi costruirono una flotta di duemila o veramente di seimila vascelli1, numero, che per incredibil che possa sembrare, non sarebbe stato bastante a trasportare la loro pretesa armata di trecentoventimila Barbari. Qualunque esser potesse la forza reale dei Goti, il vigore ed il successo della spedizione non furono adeguati alla grandezza dei preparativi. Nel loro passaggio pel Bosforo gl’inesperti piloti furon vinti dalla violenza della corrente; e mentre la moltitudine dei loro vascelli era ristretta in un angusto canale, molti si ruppero urtando l’uno contro l’altro o contro la terra. Fecero i Barbari alcune discese sopra varie coste dell’Europa e dell’Asia, ma l’aperto paese era stato già devastato, ed essi furono con vergogna e perdita rispinti da molte fortificate città. Si sparse nella flotta lo sbigottimento e la divisione, e molti dei loro capi fecero vela verso l’isole di Creta e di Cipro; ma il grosso dell’armata, seguitando un corso più costante, si ancorò finalmente vicino alle falde del monte Atos, ed assalì la città di Tessalonica, opulenta capitale di tutte le province della Macedonia. I loro assalti, nei quali mostravano un feroce ma sregolato valore, furono presto interrotti dal rapido avvicinarsi di Claudio, che si affrettava ad una

  1. La Storia Augusta fa menzione del minor numero e Zonara del maggiore; la vivace fantasia di Montesquieu l’indusse a preferire quest’ultimo.