Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/442

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436 storia della decadenza

s’erano trasferiti all’indegno rivale di lui. Sabiniano stabilì il suo indolente quartiere sotto le mura d’Edessa, e mentr’egli si dilettava dell’oziosa parata dell’esercizio militare, ed al suono de’ flauti si muoveva in Pirrica danza, la pubblica difesa era abbandonata all’ardire e alla diligenza del primiero Generale dell’Oriente. Ma ogni volta che Ursicino raccomandava qualche vigoroso piano d’operazioni; quando proponeva di girare alla testa di una leggiera ed attiva armata intorno alle falde de’ monti per intercettare i convogli del nemico, inquietare la vasta estensione delle linee Persiane, e sollevare le angustie d’Amida, il timido ed invidioso Comandante allegava, che da positivi ordini gli era impedito di mettere a rischio la salute delle truppe. Amida finalmente fu presa; i più prodi suoi difensori, che s’eran salvati dal ferro de’ Barbari, moriron per mano del carnefice nel campo Romano; ed Ursicino medesimo dopo d’aver sofferto la disgrazia d’un esame parziale fu punito per la cattiva condotta di Sabiniano colla perdita del militare suo grado. Ma Costanzo ben presto sperimentò la verità della predizione, che un onesto sdegno aveva tratto di bocca all’ingiuriato suo Duce, vale a dire, che sintanto che si fosse tollerato, che prevalessero tali massime di governo, l’Imperatore stesso avrebbe veduto, non essere facile impresa il difendere gli Orientali suoi Stati dalla invasione d’uno straniero nemico. Quando ebbe soggiogati o quietati i Barbari del Danubio, Costanzo a lente giornate s’incamminò verso l’Oriente, e dopo aver pianto sulle ancor fumanti ruine d’Amida, pose con un potente esercito l’assedio a Bezabde. Venivano scosse le mura da’ replicati sforzi de’ più grossi arieti; la città era ridotta all’ultima estremità, ma fu