Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/175

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dell'impero romano cap. xxi 171

dissimulava più la sua conversione, nè più temeva i rivali dei trono. Esso invita ed esorta ne’ termini più pressanti i sudditi del Romano Impero ad imitar l’esempio del loro Principe; ma dichiara, che quelli, che tuttavia ricusano d’aprir gli occhi alla celeste luce, posson liberamente godere i lor tempj e gl’immaginari lor Dei. Vien dunque formalmente contraddetta l’asserzione, che le ceremonie del Paganesimo fossero soppresse dall’Imperatore medesimo, il quale saviamente assegna come principio della sua moderazione l’invincibil forza dell’abitudine, del pregiudizio e della superstizione1. Ma senza violare la santità della sua promessa, senza eccitare i timori de’ Pagani, l’artificioso Monarca con lenti e cauti passi avanzavasi a distrugger l’irregolare e cadente edifizio del politeismo. Gli atti parziali di severità, che secondo le occasioni esercitava, quantunque segretamente provenissero da uno zelo Cristiano, eran coloriti dai più bei pretesti di giustizia e di pubblico bene; e mentre Costantino tendeva a rovinare i fondamenti dell’antica religione, pareva che ne riformasse gli abusi. Ad esempio dei suoi più saggi predecessori condannò sotto le più rigorose pene le occulte ed empie arti della divinazione, che risveglia le vane speranze ed alle volte i rei tentativi di quelli, che son malcontenti della presente lor condizione. Fu imposto un ignominioso silenzio agli oracoli, ch’erano stati pubblicamente convinti di frode e

  1. Vedi Eusebio in vit. Const. l. II. c. 56. 60. Nel discorso all’Assemblea dei Santi, che l’Imperatore pronunziò, quando era già maturo negli anni e nella pietà, dichiara agl’Idolatrici (c. XI) che era loro permesso d’offerir sacrifizi ed esercitare ogni atto del religioso lor culto.