Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/371

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dell'impero romano cap. xxiv. 367

impaziente di correre alla battaglia. Si esaurì la forza che gli restava pel penoso sforzo che fece, ed i chirurghi, ch’esaminavan la sua ferita, vi scuoprirono i sintomi d’una vicina morte. Passò egli quei terribili momenti col fermo contegno d’un savio e d’un eroe; i filosofi, che l’avevano accompagnato in quella fatale spedizione, paragonavan la tenda di Giuliano alla prigione di Socrate; e gli spettatori, che per dovere, per amicizia o per curiosità si erano adunati attorno al suo letto, udivano con rispettoso cordoglio l’orazion funerea del morente loro Imperatore1. „Amici e miei militari compagni (diss’egli), è giunto adesso il tempo opportuno alla mia partenza, ed io pago ciò che domanda la natura con quella gioia che ha un buon debitore. Ho appreso dalla filosofia, quanto l’anima è più eccellente del corpo; e che la separazione della sostanza più nobile dovrebbe piuttosto esser motivo d’allegrezza che d’afflizione. Ho appreso dalla religione che una presta morte spesso è stata il premio della pietà2; ed accetto, come un favore degli Dei, il mortal colpo, che mi libera

  1. Il carattere e la situazione di Giuliano potrebbero confermare il sospetto, che egli avesse precedentemente composta quell’elaborata orazione, che si udì, e si trascrisse da Ammiano. La traduzione dell’Abate della Bleterie è fedele ed elegante. Io l’ho seguitato nell’esporre l’idea Platonica dell’emanazione, che viene oscuramente indicata nell’originale.
  2. Erodoto ha spiegato (lib. I. c. 31.) tal dottrina in una piacevol novella. Giove però, che (nel lib. 16. dell’Iliad.) piange a lagrime di sangue la morte di Sarpedone suo figlio, avea un’idea molto imperfetta della felicità o della gloria dopo il sepolcro.