Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IX.djvu/33

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dell'impero romano cap xlvii. 27

l’errore a cui pendea la parte contraria, creduto il più funesto alla verità, non che alla salute. Uguale era l’inquietudine nelle due parti, uguale l’ardore a sostenere e a propugnare l’unione e la distinzione delle due Nature, e ad inventare formole e simboli di dottrina meno suscettivi di dubitazione o d’equivoco. Inceppati dalla povertà delle idee e del linguaggio, metteano a contribuzione arte e natura per trarne tutte le possibili comparazioni, e ciascuna di queste, usata a rappresentar un Mistero incomparabile, diveniva per la mente loro fonte di nuovo errore. Sotto il microscopio polemico, un atomo prende la statura d’un mostro, e le due Sette erano molto abili ad esagerare le assurde o empie conseguenze che dai principii degli avversari dedur si potevano. Per isfuggire gli uni agli altri, si gittavano in vie oscure e rimote sin a tanto che scoprirono con orrore i terribili fantasmi di Cerinto e d’Apollinare, che custodivano le opposte uscite del labirinto teologico. Non così tosto travedeano la luce ancor dubbia d’una spiegazione che li conduceva all’eresia, essi trepidavano e volgevano subito addietro il passo, precipitando nuovamente nelle tenebre d’un’impenetrabile ortodossia. Per discolparsi dal delitto o dall’accusa d’un orrore riprovevole, veniano spiegando le loro massime fondamentali, ne niegavano le conseguenze, si scusavano delle loro imprudenti proposizioni, e con grido unanime pronunciavano le parole di concordia e di fede. Ma sotto la cenere della controversia stava celata una scintilla quasi impercettibile, dalla quale i pregiudizi e la passione suscitarono in breve una fiamma divoratrice, e le di-