Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/95

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dell'impero romano cap. xxv. 91

Gli Armeni e gl’Iberi, dopo la lor conversione, risguardavano i Cristiani come i favoriti, ed i Magi come i nemici dell’Ente Supremo; l’influenza parimente del Clero sopra un popolo superstizioso si esercitava in favore di Roma, e finchè i successori di Costantino disputarono con quelli d’Artaserse la sovranità delle intermedie Province, la connessione religiosa portò sempre un vantaggio decisivo dalla parte dell’Impero. Un numeroso ed attivo partito riconobbe Para, figlio di Tirano, per legittimo Sovrano d’Armenia; ed il diritto di esso al trono avea le sue profonde radici nell’ereditaria successione di cinquecento anni. Per unanime consenso degl’Iberi fu diviso ugualmente il paese fra’ rivali due Principi; ed Aspacura che era debitor del diadema all’elezione di Sapore, fu costretto a dichiarare, che il riguardo pe’ suoi figliuoli ch’eran ritenuti in ostaggio dal Tiranno, era l’unico riflesso che l’impediva di rinunziare apertamente all’alleanza della Persia. L’Imperator Valente che rispettava le convenzioni del trattato, e temeva d’impegnar l’Oriente in una pericolosa guerra, tentò con lenti e cauti passi di sostenere il partito Romano nei Regni d’Iberia e d’Armenia. Dodici Legioni stabilirono l’autorità di Sauromace sulle rive del Ciro. L’Eufrate era difeso dal valore d’Arinteo. Un potente esercito sotto il comando del Conte Trajano, e di Vadomairo, Re degli Alemanni, pose il campo nei confini dell’Armenia. Ma fu strettamente ordinato loro di non essere i primi a commettere ostilità, che potessero interpretarsi come un’infrazione del trattato: e tale fu l’implicita obbedienza del Generale Romano, che i soldati si ritirarono con esemplare pazienza sotto una pioggia di dardi Persiani, insino a che avessero chia-