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mente consacrato ai combattimenti dei gladiatori, esibiva sempre agli occhi del Popolo Romano un grato spettacolo di sangue e di crudeltà. In mezzo all’universal gioia della vittoria di Pollenzia, un Poeta Cristiano esortò l’Imperatore ad estirpare con la sua autorità l’orribil costume, che sì lungamente avea resistito alla voce dell’umanità e della religione1. Le patetiche rappresentanze di Prudenzio furon meno efficaci del generoso ardire di Telemaco, monaco Asiatico, la morte del quale fu più vantaggiosa al genere umano, che la sua vita2. I Romani si adontarono in vedere interrotti i loro piaceri; e il coraggioso monaco, il quale era disceso nell’arena per separare i gladiatori, restò oppresso da un nuvol di sassi. Ma tosto calmossi la frenesia popolare; fu rispettata la memoria di Telemaco, che avea meritato gli onori del martirio; e si sottomisero senza remore alle leggi d’Onorio, che per sempre abolirono gli umani sacrifizj dell’anfiteatro. I cittadini, ch’erano attaccati a’ costumi dei loro Maggiori, potevano forse insinuare, che si mantenevan gli ultimi avanzi d’uno spirito marziale in quella scuola di fortezza, la quale assuefaceva i Romani alla vista del sangue, ed al disprezzo della morte: vano

  1. Vedasi la perorazione di Prudenzio (in Symmac. l. II, 1121-1131) che senza dubbio avea letto l’eloquente invettiva di Lattanzio (Divin. Institut. l. VI. c. 20). Gli Apologisti Cristiani non hanno risparmiato questi sanguinosi giuochi, che s’erano introdotti nelle feste religiose del Paganesimo.
  2. Teodoret. l. V. c. 28. Io bramo di creder la storia di S. Telemaco. Pure non è stata dedicata veruna Chiesa, nessun altare è stato eretto all’unico monaco, che morì martire nella causa dell’umanità.