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dell’Emilia restarono abbandonate ad un licenzioso esercito di Barbari, il furore dei quali non veniva mitigato da pensiero alcuno di stabilimento o di conquista. Fra le Città, ch’essi rovinarono, si conta particolarmente Genova, non ancora fabbricata di marmi: e sembra che la morte di più migliaia di persone, secondo l’ordinario uso della guerra, eccitasse minore orrore, che alcuni idolatrici sacrifizi di donne e di fanciulli, che furono impunemente fatti nel campo del Re Cristianissimo. Se non fosse una trista verità, che i primi e più crudeli patimenti debbon toccare agl’innocenti ed a’ deboli, potrebbe rallegrarsi alquanto l’Istoria nella miseria de’ conquistatori, che in mezzo alle ricchezze restaron privi di pane e di vino, essendosi ridotti a ber le acque del Po, ed a cibarsi della carne di bestie inferme. La dissenteria distrusse un terzo del loro esercito; e le grida de’ suoi sudditi, ch’erano impazienti di ripassar le Alpi, disposero Teodeberto ad ascoltar con rispetto le blande esortazioni di Belisario. Si perpetuò nelle medaglie della Gallia la memoria di questa non gloriosa e distruttiva guerra; e Giustiniano, senza sfoderar la spada, prese il titolo di conquistatore de’ Franchi. Il Principe Merovingico s’offese della vanità dell’Imperatore; affettò di compassionare le cadute fortune dei Goti; e l’insidiosa sua offerta d’una confederazione fu corroborata dalla promessa, o dalla minaccia di scender dalle Alpi alla testa di cinquecentomila uomini. I suoi disegni di conquista erano illimitati, e forse chimerici. Il Re d’Austrasia minacciò di gastigar Giustiniano e di marciare alle porte di Costantinopoli1: ma egli fu gettato a

  1. Agatia L. I p. 14, 15. Quand’egli avesse potuto se-