Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/143

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dell'impero romano cap. xliii. 139

la porta aurea era affollata di inutili generali e di tribuni; ed il Senato dividea colle plebe le fatiche ed i timori. Ma gli occhi del Principe e del Popolo stavan volti sopra un Veterano indebolito dagli anni, il quale dal pubblico pericolo fu costretto a ripigliar l’armatura con cui era entrato in Cartagine ed aveva difeso Roma. Si raccolsero in fretta i cavalli delle stalle reali, de’ cittadini privati, ed anche del Circo; il nome di Belisario risvegliò l’emulazione dei vecchi e dei giovani; ed il primo suo accampamento fu stabilito in faccia ad un vittorioso nemico. La prudenza del Generale, ed il lavoro de’ fidi paesani, assicurò il riposo della notte, mediante un fosso ed una trinciera. Artificiosamente s’immaginarono innumerabili fuochi e nubi di polvere per magnificare l’opinione della sua forza: i suoi soldati immantinente passarono dalla sfidanza alla presunzione; e mentre diecimila voci chiedevano la battaglia, Belisario ben si astenne dal mostrare che nell’ora del cimento egli sapeva di non poter far conto che sulla fermezza di trecento Veterani. Il mattino seguente, la cavalleria de’ Bulgari mosse allo scontro. Ma essi udirono i clamori della moltitudine, videro le armi e la disciplina che presentava la fronte dell’esercito; furono assaliti sui fianchi da due corpi, posti in aguato nei boschi: i loro guerrieri che primi si fecero innanzi, caddero sotto i colpi dell’attempato Eroe e delle sue guardie; e la rapidità delle loro evoluzioni fu resa inutile dallo stretto attacco e dal ratto inseguir dei Romani. In questa azione i Bulgari non perdettero più di quattrocento cavalli, così frettolosamente si diedero a fuggire; ma Costantinopoli fu salva, e Zabergan, il quale sentì la mano di un maestro di guerra, si tenne in una ri-