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stessa antichità che santificò la pratica, cancellò dalla memoria l’uso ed il significato di quella primitiva favella1.

Si coltivò nondimeno un’arte più liberale dai savj di Roma, i quali, in un senso più stretto, si possono riguardare come gli autori della legge civile. L’alterazione dell’idioma e de’ costumi dei Romani rendè lo stile delle Dodici Tavole sempre meno famigliare ad ogni generazione novella, ed i passi dubbiosi imperfettamente furono schiariti dalle cure degli antiquarj legali. Più nobile ed importante studio era quello di definire le ambiguità delle leggi, di circoscriverne l’effetto, di applicarne i principj, di estenderne le conseguenze, di riconciliarne le contraddizioni apparenti o reali; e la provincia della legislazione fu tacitamente occupata dagli espositori degli antichi statuti. Le sottili loro interpretazioni concorsero con l’equità del Pretore, a riformare la tirannia delle più rozze età. Una giurisprudenza artificiale, ajutata da mezzi intricati e bizzarri, si applicò a far risorgere i semplici dettami della natura e della ragione, e l’abilità di molti cittadini privati utilmente adoperossi a sottominare le istituzioni pubbliche del loro paese. La rivoluzione di quasi mille anni, dalle Dodici Tavole sino al Regno di Giustiniano, può dividersi in tre periodi quasi eguali in durata, e distinti l’un dall’altro pel metodo d’instruzione, e pel carattere dei legisti2. [A. D. 303-648] L’orgoglio e l’i-

  1. Nel suo discorso per Murena, Cicerone mette in ridicolo le forme ed i misteri de’ legisti, rapportati con più buona fede da Aulo Gellio (Notti Attiche, XX, 10), Gravina (Opp. p. 265, 266, 267) ed Eineccio (Antiq. l. IV t. 6).
  2. Pomponio (De origine juris Pandect. l. 1 tit. 2) indica la successione de’ giureconsulti romani; ed i moderni