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dell'impero romano cap. xliv. 191

ad ogni cittadino consapevole della sua abilità e del suo sapere. La discrezione del Pretore venne allora governata dalle lezioni de’ suoi precettori; si ordinò ai Giudici di obbedire ai comenti, non meno che al testo della legge, e l’uso dei codicilli fu un’innovazione degna di ricordo che Augusto ratificò per consiglio dei Giureconsulti1.

I più assoluti comandamenti non potevano esigere che i Giudici andassero d’accordo coi legisti, se i legisti non andavano d’accordo fra loro. Ma le istituzioni positive sono spesse volte il risultato delle costumanze e del pregiudizio; le leggi e la favella sono ambigue ed arbitrarie; dove la ragione è incapace di pronunziar sentenza, l’amore dell’argomentare viene acceso dall’invidia dei rivali, dalla vanità dei maestri, dal cieco attaccamento dei loro discepoli; e le due Sette una volte famose, dei Proculiani e dei Sabiniani, si divisero la giurisprudenza Romana2. Due sapienti in legge, Atejo Capitone, ed Antistio Labeone3, adornarono la pace del secolo di Augusto: co-

  1. Veggasi Pomponio (De origine juris Pandect. l. I, tit. 2 leg. 2 n. 47; Eineccio, ad Instit. l. I tit. 2 n. 8, l. II tit. 25, in Element. et Antiquit.; e Gravina p. 41-45). Sebbene questo monopolio sia stato molto disgustoso, gli scrittori di quell’epoca non se ne lagnano, ed è verisimile che sia stato velato con un decreto del Senato.
  2. Ho letto la Diatriba di Gotofredo Mascovio, l’erudito Mascou, (De Sectis Jureconsultorum, Lipsia 1728 in-12, p. 276) dotto trattato sopra un fondo sterile e limitatissimo.
  3. Vedi il carattere d’Antistio Labeone in Tacito (Annal. III, 75) e in un’Epistola d’Ateio Capitone (Aulo Gellio, VIII, 12) che accusa il suo rivale di libertas nimia et vecors. Tuttavia non posso immaginare che Orazio abbia ardito di sferzare un virtuoso e rispettabile senatore, ed amo