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214 storia della decadenza

cie il contraccambio della filiale pietà. Ma l’esclusivo, assoluto e perpetuo dominio del padre sopra i suoi figliuoli, è particolare alla giurisprudenza Romana1, e sembra così antico come la fondazione della città2. La potestà paterna fu instituita o confermata da Romolo stesso; e dopo la pratica di tre secoli essa fu incisa sulla quarta Tavola de’ Decemviri. Nel Foro, nel Senato, o nel campo il figlio adulto di un cittadino Romano godeva i diritti pubblici e privati di una persona: nella casa di suo padre egli non era che una cosa, confusa dalle leggi colle masserizie, cogli armenti, e cogli schiavi, che il capriccioso padrone poteva alienare o distruggere senza esser tenuto a risponderne avanti alcun tribunale terreno. La mano che compartiva il giornaliero vitto, potea riprendersi il volontario dono, ed ogni cosa che si fosse acquistata dal lavoro o dalla fortuna del figlio, immediatamente si trasfondeva nella proprietà del genitore. L’azione di furto, colla quale il padre reclamava gli effetti rubatigli, i suoi bovi o i suoi figli, era la stessa3,

  1. Vedi patria potestas nelle Institute (l. 1 tit. 9); nelle Pandette (l. 1 tit. 6, 7) e nel Codice (l. VIII tit. 47, 48, 49). Jus potestatis quod in liberos habemus, proprium est civium romanorum. Nulli enim alii sunt homines, qui talem in liberos habeant potestatem qualem nos habemus.
  2. Dionigi d’Alicarnasso (l. II p. 94, 95) e Gravina (Opp. p. 286) rapportano le parole delle Dodici Tavole. Papiniano (in Collatione legum roman. et mosaicarum, tit. 4 p. 204) alla patria potestas dà il nome di lex regia. Ulpiano (ad Sabin. l. XXVI, in Pandect. l. 1 tit. 6 leg. 8) dice: Jus potestatis moribus receptum; et furiosus filium in potestate habebit. Che potere sacro o piuttosto assurdo!
  3. Pandette (l. XLVII tit. 2 leg. 14 n. 13; leg. 38 n. 1). Tale era la decisione d’Ulpiano e di Paolo.