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256 storia della decadenza

sangue dell’uccisore. Il veleno è più odioso ancora della spada o del coltello; e ci reca stupore lo scorgere in due sciagurati esempi, come una sì fatta sottile perversità abbia di buon’ora infettato i costumi della Repubblica, e le caste virtù delle matrone Romane1. Il parricida che violava i doveri della natura e della gratitudine, veniva gettato nel fiume e nel mare, chiuso in un sacco, nel quale successivamente si rinserrarono un gallo, una vipera, un cane ed una scimia, come i suoi più degni compagni2. L’Italia non produce scimie; ma non fu sentita una tal mancanza sino alla metà del sesto secolo, epoca in cui per la prima volta si scoprì un delitto di parricidio3. IV.

  1. Tito Livio fa menzione di due epoche di delitto, in cui tremila persone furono accusate, e centonovanta matrone convinte del delitto d’avvelenamento. (XL, 43, VIII, 18). Hume distingue i tempi della virtù pubblica da quelli della virtù privata (Saggi, vol. 1 p. 22, 23). Io crederei piuttosto che queste effervescenze di crimini, come l’anno 1680 in Francia, sono accidenti e mostruosità che non possono lasciar macchia ne’ costumi di una nazione.
  2. Le Dodici Tavole e Cicerone (pro Roscio Amerino, c. 25, 26) non parlano che del sacco. Seneca (Excerpt. controv. V, 4) vi aggiunge i serpenti. Giovenale ha pietà della scimia che non aveva fatto alcun male (innoxia simia, sat. XIII, 156). Adriano (apud Dositheum magistrum, l. III c. 16 p. 874, 876, colle note di Schulting), Modestino (Pandette, XLVIII, tit. 9 leg. 9), Costantino (Codice, l. IX tit. 17), e Giustiniano (Institute, l. IV tit. 18) indicano tutto quello che si metteva nel sacco del parricida. Ma in pratica questo supplizio bizzarro veniva semplificato. Hodie tamen vivi exuruntur vel ad bestias dantur (Paolo, Sentent. recep. l. V tit. 24 p. 512, ediz. di Schulting).
  3. Il primo parricida, che siasi avuto a Roma fu L. Ostio, dopo la seconda guerra punica (Plutarco, in Romulo, t. 1