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dell'impero romano cap. xliv. 267

de’ tempi; e debolmente si tentò la riforma dei costumi dalla ragione e dall’autorità de’ legisti, sinchè il più virtuoso de’ Cesari proscrisse il peccato contro la natura come un delitto contro la società1.

Un nuovo spirito di legislazione, rispettabile perfino ne’ suoi errori, sorse nell’Impero insieme colla religione di Costantino2. Le leggi di Mosè furono ricevute come il divino modello della giustizia, ed i Principi cristiani adattarono i loro statuti penali ai gradi di turpitudine morale e religiosa. L’adulterio fu da principio dichiarato un delitto capitale; la fralezza dei sessi fu assimilata al veneficio od all’assassinio, all’ammaliamento od al parricidio; le stesse pene furono applicate alla pederastia attiva e passiva; e tutti i colpevoli, sì di condizione libera che di servile furono o annegati o decapitati o gettati vivi fra le fiamme vendicatrici. La comune simpatia degli uomini ri-

    contenterò di indicare in questo luogo la fredda riflessione d’Ovidio:

    Odi concubitus qui non utrumque resolvunt.
         Hoc est quod puerum tangar amore minus.

  1. Elio Lampridio (nella vita d’Eliogabalo, nella Storia Augusta, p. 112), Aurelio Vittore (in Philipp. Cod. Theod. l. IX tit. 7 leg. 7), ed il Comentario di Gotofredo (t. III p. 63). Teodosio abolì le malaugurate leggi che erano stabilite nei sotterranei di Roma, ove ambo i sessi impunemente si prostituivano.
  2. Veggansi le leggi di Costantino e de’ suoi successori contro l’adulterio, la sodomia, ec., nel Codice Teodosiano (l. IX tit. 7 leg. 7; l. XI tit. 36 leg. 1, 4) ed il Codice Giustinianeo (l. IX tit. 9 leg. 30, 31). Questi Principi parlano tanto col linguaggio della passione, quanto con quello della giustizia, ed hanno la cattiva fede d’attribuire la propria loro severità ai primi Cesari.