Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/73

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dell'impero romano cap. xlii. 69

servizio, finchè dalle fiamme non furono consumati. Essi perirono in obbedienza ai comandi del loro Principe; e tali esempi di lealtà e di valore potevano eccitare i loro compatriotti a geste di egual disperazione e di esito più fortunato. La subitanea demolizione delle fortificazioni di Petra pose in chiaro lo stupore e le apprensioni del conquistatore.

[A. D. 549-556] Uno Spartano avrebbe lodato e compianto la virtù di questi eroi schiavi: ma le tediose ostilità e gli alterni successi delle armi romane o persiane non possono trattenere l’attenzione della posterità ai piedi del monte Caucaso. Più frequenti e più splendidi vantaggi riportarono le truppe di Giustiniano; ma le forze del Gran Re del continuo crescevano, finchè montarono ad otto elefanti, ed a settantamila uomini, compresovi dodicimila alleati Sciti, e più di tremila Dilemiti, che per propria scelta discesero dalle rupi dell’Ircania, ed egualmente formidabili si mostravano nel combatter da lungi o da presso. I Persiani levarono, con qualche perdita e precipitazione, l’assedio di Archeopoli, nome imposto dai Greci, ovvero da essi corrotto; ma occuparono i passi dell’Iberia e signoreggiarono tutto il Colco coi forti e coi presidj loro: essi divorarono gli scarsi viveri del popolo; ed il Principe de’ Lazi fuggì nel mezzo dei monti. La fede e la disciplina erano incogniti nomi nel campo romano; e gl’indipendenti condottieri, investiti di ugual potere, si contendevano fra loro la preminenza del vizio e della corruzione. I Persiani obbedivano, senza muovere accento, ai comandi di un solo Capo, il quale implicitamente si atteneva alle istruzioni del loro supremo Signore. Segnalato era il loro Generale tra gli eroi dell’Oriente per la sua sapienza in consiglio, ed