Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/197

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dell'impero romano cap. li. 191

volte, e sostenne Caled con calma e fermezza i dardi romani, e le mormorazioni del suo esercito. Finalmente quando s’avvide essere omai esinanite le forze e i turcassi de’ nemici, diede il segnale della carica, e della vittoria. Gli avanzi dell’esercito imperiale fuggirono in Antiochia, in Cesarea, in Damasco, e si consolarono i Musulmani della perdita di quattrocentosettanta uomini, ripensando d’aver mandato all’inferno più di cinquantamila infedeli. Difficil cosa sarebbe valutare il bottino di quella giornata: si impadronirono i Saraceni di gran quantità di bandiere, di croci, di catene d’oro e d’argento, di pietre preziose e d’una immensa farragine di armature e di vestimenta di gran valore. Si differì la generale distribuzion della preda sino al tempo che sarebbe presa Damasco; ma di grande utilità furono le armi che divennero nuovi istrumenti di vittoria. Si spedirono al Califfo queste gloriose notizie, e le tribù Arabe, che apparivano le più insensibili o le più avverse alla mission di Maometto, domandarono con grande ardore la grazia di partecipare alle spoglie della Sorìa.

Il dolore, e la costernazione portarono tostamente a Damasco quei tristi ragguagli, e dall’alto delle mura miravano gli abitanti il ritorno degli eroi di Aiznadin. Amrou capitanando diecimila cavalieri formava la vanguardia. Le schiere dei Saraceni venivano l’una dopo l’altra con un apparato spaventevole, e nel retroguardo stava Caled preceduto dallo stendardo dell’Aquila Nera. Il quale aveva all’attività di Derar affidato l’impegno di fare la ronda intorno la città con duemila cavalieri, di sgombrar la pianura e di intercettare i soccorsi, o le lettere che si voles-