Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/219

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dell'impero romano cap. li. 213

La città per ogni parte era difesa da valli profonde e da rupi scoscese: dopo l’invasion della Sorìa erano state accuratamente restaurate le mura e le torri; essendosi fermati in quella Piazza, che non era molto lontana, i più prodi dei guerrieri campati dall’eccidio d’Yermuk, questi, non men che la difesa del santo sepolcro1, doveano accendere nell’anima di tutti quelli che riempieano la città qualche scintilla dell’entusiasmo, onde era infiammato lo spirito de’ Saraceni. Quattro mesi durò l’assedio di Gerusalemme; ogni giorno fu segnato da qualche sortita o da qualche assalto: le macchine degli assediati molestarono costantemente i nemici dall’alto delle mura, e fu ancora agli Arabi più funesto il rigore del verno. Cedettero finalmente i Cristiani alla perseveranza dei Musulmani. Il Patriarca Sofronio si affacciò sulle mura, e, servendosi dell’organo di un interprete, domandò un abboccamento. Dopo avere indarno tentato di distogliere il luogotenente del Califfo dal suo empio disegno, chiese in nome del popolo una capitolazione vantaggiosa, e ne propose gli articoli con questa clausola insolita, che l’autorità e la presenza di Omar sarebbero mallevadori della esecuzione. Fu discussa la cosa nel consiglio di Medina: la santità del sito, e l’opinione di Alì determinarono il Califfo ad appagare in questo proposito i voti dei soldati propri e de’ nemici, e la semplicità che dimostrò in questo viaggio è notabile più che mai lo fosse tutta la pompa dell’orgoglio e della tirannide. Il vincitor

  1. Non devesi nè paragonare, nè confondere il fanatismo de’ Musulmani, che li rese vittoriosi e propagatori della lor religione, collo zelo di cui erano animati i Cristiani per difendere il Santo Sepolcro. (Nota di N. N.)