Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/234

Da Wikisource.
228 storia della decadenza

[A. D. 639-655] Ai Musulmani, che morirono in Sorìa dopo la conquista, succedettero i loro figli o concittadini; quel paese divenne la residenza e il sostegno della casa d’Ommiyah; e le entrate, le soldatesche e le navi di un regno sì potente furono impiegate ad allargare per ogni lato l’impero de’ Califfi. Sprezzavasi dai Saraceni ciò che è superfluo nella gloria, e rade volte degnano i loro storici indicare le minori conquiste che si perdono nella luce e nella rapidità della lor vittoriosa carriera. Al nort della Sorìa passarono il monte Tauro, soggiogarono la provincia di Cilicia e Tarso la capitale, antico monumento dei re d’Assiria. Giunti al di là d’una seconda giogaia di quelle montagne, diffusero il fuoco della guerra, anzi che la face della religione, sino alle coste dell’Eussino, e ai dintorni di Costantinopoli. Dalla parte d’oriente s’innoltrarono fino alle sorgenti dell’Eufrate e del Tigri1. I limiti sì lungo tempo contestati di Roma e della Persia sparirono per sempre; Edessa, Amida, Dara e Nisibi, videro rase quelle mura che aveano durato contro l’armi e le macchine di Sapore e di Nushirvan, e nulla valsero la lettera di Gesù Cristo2, nè l’impronta della sua figura nella santa città

  1. Al-Wakidi pure avea scritto l’istoria della conquista del Diarbekir ossia della Mesopotamia (Ockley, sul fine del secondo volume) non veduta, per quanto pare, dai nostri interpreti. La cronaca di Dionigi di Telmar, patriarca giacobita, racconta la presa di Edessa, A. D. 637, e di Dara, A. D. 641 (Assemani Bibl. orient. t. II, pag. 103); e i lettori attenti ponno attignere alcuni particolari incerti dalla Cronografia di Teofane (p. 280-287). La maggior parte delle città della Mesopotamia si arresero spontanee (Abulfaragio, p. 112).
  2. Sanno i dotti che cotale lettera è apocrifa. (Nota di N. N.)