Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/171

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dell'impero romano cap. lvi 165

frutti della vittoria, e se vi è un vile, impediamogli ogni strada alla fuga, abbruciamo il nostro navilio e le nostre bagaglie, e combattiamo su questo suolo, come se fosse il luogo della nostra nascita, e del nostro sepolcro„. Approvata unanimamente siffatta risoluzione, Guiscardo che disdegnò cautelarsi fra mezzo alle file de’ suoi soldati, si pose a capo dell’esercito ordinato in battaglia aspettando ivi di piè fermo il nemico. Un fiume poco largo gli guardava le spalle, l’ala destra prolungandosi sino al mare; la sinistra terminava alle falde delle colline: e Guiscardo forse ignorava che in questo campo medesimo Cesare e Pompeo disputati eransi l’Impero del Mondo1.

[A. D. 1081] Alessio avendo risoluto, contro il parere de’ più saggi suoi capitani, di commettersi all’evento di una battaglia, insinuò alla guernigione di Durazzo il contribuire con una sortita a tempo operata alla liberazione della città. Con due divisioni egli marciò per sorprendere i Normanni innanzi lo schiarire del giorno, onde da due lati vedeasi la cavalleria leggiera dei Greci tener la pianura; la seconda linea era composta di arcieri, i Varangi serbarono a sè medesimi l’onore di combattere all’antiguardo. Al primo scontro, le azze da guerra degli stranieri portarono terribili botte all’esercito di Guiscardo, a soli quindicimila uomini allora ridotto. I Lombardi e i Calabresi, dandosi a vergognosa fuga, corsero, chi alle rive del

  1. V. il semplice ed ammirabile racconto di Cesare (Comment. de bell. civil. III, 41-75). Gli è da deplorarsi che Quinto Icilio (il Signor Guichard) non sia vissuto a bastanza per far le note a questa parte di essi come le ha fatte alle azioni campali dell’Affrica e della Spagna.