Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/266

Da Wikisource.
260 storia della decadenza

e per quello de’ loro tiranni1; perchè in tutti i secoli l’interesse ha fatto forte il principio della tolleranza, e le spese fatte da un sì smisurato numero di stranieri, e il tributo che essi pagavano, accresceano ciascun anno le rendite del principe e del suo Emir.

[A. D. 969-1076] Il cambiamento politico, onde lo scettro degli Abbassidi passò nelle mani de’ Fatimiti, più vantaggio che nocumento a Terra Santa arrecò. Un sovrano la cui residenza era in Egitto, potea calcolar meglio il profitto che dal commercio co’ cristiani gli derivava, e per altra parte gli Emiri della Palestina si trovavano men lontani dalla sede del trono, e dell’amministrazione della giustizia; ma sventuratamente il terzo Califfo Fatimita fu quel famoso Akem2, giovane farnetico, empio, dispotico, che scioltosi d’ogni timore di Dio e degli uomini, in tutta la condotta della sua vita un bizzarro miscuglio di vizj e di stranezze unicamente mostrò. Sprezzate le più an-

  1. Gli stessi Orientali confessano la frode, adducendone poi a giustificazione la necessità e diverse mire edificanti, per cui fu inventata (Mémoires du chevalier d’Arvieux, t. II, p. 140; Giuseppe Abudacni, Hist. Coph., c. 20); ma io non farò prova, come il Mosheim, di indicare il modo onde il creduto miracolo si operava; e penso che i nostri viaggiatori sono caduti in abbaglio volendo spiegare la liquefazione del sangue di S. Gennaro.
  2. Possono consultarsi il D’Herbelot (Bibl. orient., p. 411), il Renaudot (Hist. patriar. Alex., p. 390-397, 400, 401), Elmacin (Hist. Saracen., p. 321-323), e Marei (p. 384-386), storico dell’Egitto, tradotto dall’arabo nell’alemanno per opera del Reiske, e ch’io mi sono fatto interpretare verbalmente da un amico.