Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/297

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dell'impero romano cap. lviii 291

penitenza, di trasportarsi in lontani paesi, e sguainare le loro spade contra le nazioni dell’Oriente; il buon successo, o solamente l’aver cercato di meritarlo, bastavano a fare immortali i nomi degli eroi della Croce; anche una pietà la più pura da una sì luminosa prospettiva di gloria militare allettata esser poteva. Nelle picciole lor guerre europee, questi campioni versavano il sangue de’ loro amici, o compatriotti, per l’acquisto forse unicamente di un villaggio, o di un castello: quale esser doveva la loro esultanza nel correre ad affrontare stranieri nemici, vittime al ferro lor consacrate! già colla loro immaginazione afferravano le corone ricche dell’Asia; e i trofei riportati dai Normanni nella Puglia, e nella Sicilia, parean mallevadori d’un trono al più oscuro fra i venturieri. Le contrade abitate dai Cristiani in quel secolo di barbarie, e per clima, e per coltivazione al suolo de’ Maomettani cedevano: oltrechè, i vantaggi, di cui natura ed arte largheggiavano all’Asia, erano stati fuor di misura esagerati dallo zelo, o dall’entusiasmo de’ pellegrini, e dalle idee che avea concepita l’Europa in veggendo i frutti di un commercio ancor nell’infanzia; il volgo di tutte le classi bevea con avidità i racconti delle maraviglie, che presentava una contrada innaffiata da fonti di mele, e da ruscelli di latte, abbondante di miniere d’oro e di diamanti, coperta di palagi di marmo e di diaspro, adombrata da boschetti olezzanti di cinnamomo e d’incenso. Ciascun Capo di guerrieri si ripromettea dalla sua spada un ricco ed onorevole possedimento, cui assegnava per solo confine l’ampiezza de’ proprj desiderj in questo paradiso terre-