Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/369

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dell'impero romano cap. lviii 363

cedè una capitolazione e un salvocondotto, alla guernigion della rocca1. Così liberato finalmente il Santo Sepolcro, i vincitori, tinti ancora di sangue, a sciogliere il voto si prepararono. Con capo e piedi ignudi, col cuor contrito e in umil postura, ascesero il Calvario in mezzo alle antifone, intonate ad alta voce dal Clero; nè potendo staccare le labbra dalla pietra che avea coperto il Salvatore del Mondo, questo monumento della lor redenzione, di lagrime di gioia e di penitenza innondarono. Due filosofi hanno riguardato sotto aspetti diversi, questa stravagante mescolanza di passioni, le più feroci e le più tenere; l’un d’essi, facile e naturale la trova2, l’altro assurda e incredibile3, e ciò forse dipende dall’averla questo secondo, attribuita ai medesimi individui, nè distinti i momenti. La pietà del virtuoso Goffredo, destò quella de’ suoi compagni, che purificando i corpi, le proprie anime ancora purificarono; ma duro fatica a credere, che quelli fra essi più feroci nell’ora del saccheggio e della strage, si mostrassero poi i più esemplari nella processione al Santo Sepolcro.

  1. L’antica torre di Psefina, detta Neblosa nel Medio Evo, incominciò a chiamarsi Castellum Pisanum dopo che Damberto fu nominato patriarca. Essa è tuttavia residenza e rocca di un Agà turco. Da questa torre si scoprono il mar Morto, una parte della Giudea e dell’Arabia (d’Anville, p. 19-23). Venne chiamata parimente πυργος παμμεγεθεςατος, torre di David.
  2. Hume, Storia dell’Inghilterra, vol. I, p. 311, 312, ediz. in 8.
  3. Voltaire, Essai sur l’Histoire générale; t. II, c. 54, p. 345, 346.