Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/78

Da Wikisource.
72 storia della decadenza

la prossima lor distruzione; onde pel suo onore desiderava quasi l’adempimento di tal profezia.

Parve che provasse un istante di compassione allor che li vide al grado ultimo del disastro; ma questa compassione venne troppo tardi, e gli sforzi che produsse, mancando d’energia come di successo, Costantinopoli era già in mano de’ Turchi, prima che le squadre di Genova e di Venezia uscissero dei loro porti per andarne in soccorso1; gli altri Principi, e persin quelli della Morea e delle isole della Grecia, si mantennero in una fredda neutralità: la colonia genovese dimorante a Galata negoziò a parte col Sultano, il quale non le tolse la lusinga che la sua clemenza le avrebbe permesso di sopravvivere alla rovina dell’Impero. Una gran parte di plebei, ed alcuni nobili abbandonarono da vili il loro paese, quando imminente era il pericolo; l’avarizia fece che i ricchi negassero all’Imperatore, e conservassero pei Turchi quelle ricchezze con cui poteano stipendiarsi più eserciti di mercenarj2. In

  1. Non audivit indignum ducens, dice l’ingenuo Antonino; ma poichè i timori e la vergogna non tardarono a crucciar l’animo del Pontefice, il Platina dice in tuono d’abile cortigiano: In animo fuisse Pontifici juvare Graecos. Enea Silvio dice ancora in termini più asseveranti: Structam classem, ec. (Spond., A. D. 1453, n. 3).
  2. Antonino, in Proëm. epist. cardinal. Isid., ap. Spond. Il dottore Iohnson ha ottimamente espressa questa circostanza caratteristica nella sua tragedia, l’Irene.

    The groaning Greeks dig up the golden caverns,
    The accumulated wealth of hoarding ages;
    That wealth which, granted to their weeping prince,
    Had rang’d embattled nations at their gates.

    I quali versi così furono trasportati nella nostra lingua: