Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/189

Da Wikisource.

libro primo - capitolo settimo 183


novella. «Sappiate per vostra regola — dice il signor Proudhon parlando ai dilettanti di rivoluzioni — che ciascuna di queste, checché si faccia per giustificarla, porta seco un certo che di sinistro, che ripugna alla coscienza del popolo e all’istinto dei cittadini non altrimenti che la guerra e il patibolo»1

Quando le mutazioni civili sono regolari o necessitate, i loro effetti durano, perché mantenuti e protetti dalla saviezza pubblica. Ma questa non suol essere favorevole ai cangiamenti arrisicati e troppo alieni dalla consuetudine, gli autori dei quali sono astretti di far capo alla forza per puntellarsi, mancando loro l’appoggio della ragione. Di qui nasce che, giusta i democratici superlativi, «per assodare ed assicurare il frutto delle rivoluzioni bisogna ricorrere alla dittatura». Ma quanto essa giova come spediente di conservazione e di difesa, tanto è vana e impotente qual mezzo d’innovazione; e coloro che vogliono adoperarla a tal effetto l’abusano e la snaturano. Mi spiego. La dittatura è opportuna, per l’unitá e celeritá del comando e dell’esecuzione, a mantenere e proteggere in certi gravi e straordinari frangenti contro le fazioni interne o i nemici forestieri un ordine voluto dal maggior numero dei cittadini; e non porta in tal caso nessun pericolo, purché abbia le condizioni e le limitazioni usate dagli antichi romani e avvertite dal Machiavelli2. Ma essa non può far l’ufficio di legislatrice e di riformatrice per istabilire un ordine nuovo che abbia contro il parere dei piú, come l’intendono gli autori del prefato aforismo. Imperocché la forza non che persuadere fa l’effetto opposto: cosicché o ella dee essere perpetua e mutarsi in tirannide; o se viene a mancare (e non può far che non manchi, avendo contro l’universale), gli uomini si scagliano contro le novitá invise con tanto maggior furore quanto piú si ricordano di essere stati loro malgrado costretti a riceverle. Oltre che, l’offendere la libertá è un cattivo mezzo per far vincere la ragione3; e le violenze, a cui tali imperi

  1. Le peuple, Paris, juillet 1850.
  2. Disc., i, 34, 35.
  3. «Dum veritati consulitur, libertas corrumpebatur» (Tac., Ann., i, 75).