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264 del rinnovamento civile d'italia


variata la fortuna delle due parti1. Il dire poi, come alcuni facevano, che il decreto e plebiscito dell’unione riguardo ai veneti non era un «fatto compiuto» perché una parte di essi non ci era inclusa, e che l’«autonomia» e «indipendenza» della Venezia in universale era salva benché sottoposta all’imperatore, non che attenuare la colpa l’accresceva, aggiungendo al vile abbandono e all’infinta l’arte ipocrita di giustificarla con cavilli da leguleio e con sofismi gesuitici.

Né qui ristettero le finzioni e le bugie ministeriali. Per quanto si cercasse di travisare e inorpellare il concetto di mediazione, essa facea mal suono al retto senso dei piú; onde gli autori pensarono di scaricarsene, addossandola ai precessori. L’ufficio fu commesso, secondo il solito, a Pierdionigi Pinelli, che ai 26 di ottobre lesse fra i deputati un dispaccio del primo di agosto, in cui Lorenzo Pareto pregava il gabinetto inglese de’ suoi uffici amichevoli per impetrarci una pace che salvasse i nostri diritti. Camillo di Cavour avvalorò l’accusa; e il ministro Revel aggiunse la domanda della mediazione non poter essere opera sua, atteso che egli avea ricevuto l'ordine di rifare il Consiglio ai 9 di agosto, e nei 15 l’offerta di quella giungeva in Piemonte. «Ora io domando se tra il 9 ed il 15 corse tanto tempo da potere scrivere a Londra e ricevere la risposta»2. Il dispaccio del Pareto era stato scritto all’annunzio dei primi disastri, innanzi all’armistizio, quando temeasi una scorreria dell’oste vincitrice nel cuor del paese. Egli era naturale che si ricorresse ai potentati esterni per impedirlo, ottenere un poco d’indugio e che si mostrasse desiderio di pace. Ma la pace che noi dicevamo di volere dovea salvare «i nostri diritti»3; e se l’impetrarla non era sperabile, potea però menzionarsene il desiderio per fare che l’Inghilterra, gelosissima dell’equilibrio di Europa, vietasse all’esercito imperiale d’irrompere nel Piemonte. Dunque

  1. La frase è sibillina, unendo la «possibilitá» alla «necessitá»; e io le do il senso piú attenuativo e quindi piú favorevole ai ministri. Documenti e schiarimenti, vi.
  2. Il Risorgimento, 28 ottobre 1848.
  3. Ibid.