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libro primo - capitolo undecimo 365


guerra e rimossero dalle faccende il Mamiani, che per la squisita moderanza dell’animo, la facondia e la riputazione, poteva meglio di ogni altro trovare un temperamento fra gli scrupoli del papa e le necessitá della patria. Tali scrupoli erano omai divenuti insuperabili quando il Rossi entrò ministro, inviso a molti liberali per la memoria della sua legazione, essendo sparso il rumore che combattesse le riforme e accreditato anche in Carrara sua culla, mentre il nome di lui si cimentava per ascriverlo al parlamento1. Salito al potere in Roma, egli pose mano ad avviare e stabilire gli ordini costituzionali fondati di fresco e accordarli col governo ecclesiastico. Il dare agli Stati pontifici una buona amministrativa, leggi conformi alla nostra etá e un reggimento laicale, erano assunti, un solo dei quali avrebbe sbigottito un ingegno volgare; ma le forze del Rossi bastavano a tutti. Cosí che Roma fu retta a breve intervallo da due uomini che appartengono ai due estremi del valore politico, il quale è nullo nel Mazzini come fu sommo nel carrarese. Né questi perciò si scordava del resto d’Italia; e proponendo la lega, voleva, senza spaurare la delicata e ritrosa coscienza di Pio nono, farsi un lastrico di quella a cose maggiori.

Giá abbiamo accennato come la singolare imperizia dei ministri sardi facesse svanire il suo disegno, e un fanatismo atroce troncasse i suoi giorni. Il dissidio col Piemonte indusse taluno a conghietturare che di colá fosse inspirato l’eccesso. Certo il misfatto dei 15 di novembre non mosse le lacrime alla parte ministeriale e municipale di Torino, poiché la liberava da un formidabile avversario2. Ma il non dolersi della morte altrui quando è utile, e l’aver animo di cooperarvi, sono cose differentissime. Per quanto si voglia essere severo ai ministri piemontesi e ai loro agenti e aderenti in Roma, niun uomo di

  1. Io ebbi la buona fortuna di cooperare al disinganno con un mio discorso ai carraresi (Operette politiche, t. ii, pp. 150-154).
  2. Mentre un foglio torinese, sviscerato del ministero sardo, raccontava succintamente l’atroce caso senza frapporvi parola non dico di orrore ma né anco di semplice biasimo, un giornale democratico l’abbominava con calde e generose parole. Qual era questo giornale? La concordia.