Pagina:Goethe - Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87.djvu/248

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La fregata è ritornata da Palermo, e fra otto giorni deve ripartire a quella volta; intanto io non so ancora se prenderò imbarco su quella, ovvero se farò ritorno a Roma per la settimana santa. Non mi è capitato mai di vivere in tanta indecisione; in un istante una cosa da nulla, potrà fare traboccare la bilancia, nell’uno o nell’altro senso.

Ora mai mi so meglio adattare a vivere colle persone; basta pesarle colle bilancie del merciaiuolo, e non con quelle scrupolose dell’orafo, alle quali spesse volte pur troppo, ricorrono fra di loro anche amici, per capricci, ipocondri, ovvero per esigenza soverchia.

Qui gli uomini non sanno guari nulla, gli uni degli altri; non fanno altro fuorchè correre tutto il giorno sù e giù per questo paradiso, senza guardarsi attorno, e quando la voragine infernale vicina comincia romoreggiare cupamente, allora ricorrono al sangue di S. Gennaro, come del resto il mondo tutto ricorre, o vorrebbe potere ricorrere al sangue, per difendersi contro la morte, e contro il diavolo.

La è cosa piacevole e salutare ad un tempo, lo aggirarsi in mezzo a questa folla sterminata, di persone sempre in moto, ed osservare come segua questa il suo corso, al pari di un fiume; ed intanto ognuno trova in tutta quella confusione la propria strada, raggiunge il suo scopo. In tanta agitazione, in mezzo a tante persone, io mi trovo solo e tranquillo, e tanto più lo sono, quanto maggiore si è il chiasso per istrada.

Penso molte volte a Rousseau, alle sue lamentazioni ipocondriache; però, comprendo benissimo come una natura cotanto eletta, abbia potuto sbagliare strada. Se io non prendessi tanta viva parte ai fenomeni di natura, se io non comprendessi come la confusione apparrente di cento osservazioni si possa districare, e porre in ordine, nella stessa guisa che l’agrimensore col trarre una sola linea verifica l’esatezza di molte misure, riterrei spesse volte essere pazzo io pure.