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106 GOGOL

quaranta giorni e quaranta notti, celebrassero per me le esequie.

Caterina osservò:

— Se pure io ti aprissi, non potrei spezzarti le catene.

— Non temo le catene, — rispose lui. — Tu dici che mi stringono le mani e i piedi? No: io gettai loro nebbia negli occhi, e, invece delle mani, io detti loro un arido tronco. Ve’ guarda; ora non ho ombra di catena disse mettendosi nel mezzo della stanza. — Io non temerei neppure questi muri e fuggirei; ma tuo marito ignora che muri son questi; furono costrutti da un santo eremita, e non v’è forza impura che possa trarne uno stregone, se non gli è aperto con la stessa chiave con la quale il santo chiudeva la sua cella. E da questa cella io non uscirò appunto, misero peccatore, se non quando sia liberato di buon grado.

— Ascolta; or io te ne farò uscire; ma tu non m’inganni? — disse Caterina, stando innanzi alla porta: — e se tu, invece di far penitenza, tornassi verso il diavolo?

— No, Caterina; io non ho più molto da vivere; la mia fine è vicina, pur senza supplizio. Puoi credere ch’io mi getti in un castigo eterno?

Cigolarono i chiavistelli.

— Addio! Ti guardi la misericordia di Dio, figlia mia, — disse lo stregone, e la baciò.

— Non toccarmi, peccatore nefando; fuggi senza indugio... — disse Caterina.

Ma egli era già scomparso.

— L’ho lasciato fuggire — soggiunse scrutando le pareti. — Che risponderò ora a mio marito? Sono perduta. Non mi resta che seppellirmi viva nella tomba.

E, singhiozzando, si lasciò quasi cadere sul tronco, ove sedeva lo stregone.

— Ma ho salvato l’anima sua — aggiunse a bassa voce: — ho compiuto un’opera gradita a Dio. Eppure... mio marito, ecco, l’ho tradito per la prima volta. Oh, come sarà terribile, come sarà difficile dirgli una menzogna! Vien qualcuno!... È lui, mio marito! — esclamò lei, disperata.

E cadde a terra priva di sensi.