Pagina:Gogol - Novelle, traduzione di Domenico Ciampoli, 1916.djvu/190

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ficio. Non poteva giungere più a proposito, perchè il gelo cominciava a farsi sentire aspramente.

Petrovic affrontò il suo cliente con l’aria importante di un grande sarto. Aveva la fisonomia d’una gravità eccezionale; il consigliere titolare non l’aveva mai visto così. Era tutto compreso del suo merito, e nel pensiero misurava l’abisso che separava l’operaio che fa soltanto riparazioni dall’artista che fa il nuovo.

L’uniforme era avvolta in una tela nuova, appena lavata, che il sarto slegò con cura e ripiegò poi per metterla in tasca. Allora prese superbamente con le due mani l’uniforme e la pose sulle spalle d’Akaki Akakevic. Poi la palleggiò, ed ebbe un sorriso di sodisfazione vedendola cader maestosamente in tutta la sua lunghezza. Akaki volle misurar le maniche; andavano meravigliosamente bene.

Breve, l’uniforme era irreprensibile sotto ogni rapporto, e il taglio non lasciava nulla a desiderare.

Mentre il sarto contemplava la sua opera, non mancò di dire che, se l’aveva lasciata a così buon prezzo, era perchè non pagava troppo forte pigione e perchè conosceva Akaki Akakevic da molto tempo; poi, fece notare che un sarto della Prospettiva della Nevà avrebbe chiesto almeno sessantacinque rubli soltanto per il lavoro d’una simile uniforme. Il consigliere titolare non volle impegnarsi in una discussione con lui su questo punto. Pagò, ringraziatolo, e uscì per andare all’ufficio.

Petrovic uscì anche lui e si fermò nel bel mezzo della via per seguirlo con lo sguardo fin che potè, poi prese una scorciatoia per gettar un ultimo colpo d’occhio sul consigliere titolare e la sua uniforme.

Pieno dei più piacevoli pensieri, Akaki si avvicinava passo passo all’ufficio. Sentiva a ogni istante che aveva un nuovo vestito sulle spalle e dirigeva a sè stesso un dolce sorriso di contentezza.

Due cose, fra le molte, gli frullavano nel cervello: prima, l’uniforme era calda, poi era bella. Senza curarsi della strada che faceva, entrò difilato nel palazzo della Cancelleria, depose il suo tesoro nell’anticamera, l’esaminò per ogni verso e guardò poi il portiere in modo particolare.

Non so se la voce s’era sparsa negli uffici che il vecchio cappuccio aveva cessato d’esistere. Tutti i colleghi