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48 GOGOL


Maestosa e tetra, la foresta di aceri offriva alla luna le sue macchie nere. Immobile, lo stagno alitava frescura sul passeggiero stanco e lo costringeva a sedersi sulla riva. Tutto era calmo; nel profondo fitto non si udivano che i gorgheggi dell’usignolo. A poco a poco, invincibile, il sonno prese a chiudergli le palpebre. Le membra lasse già si abbandonavano all’assopimento, già gli si chinava la testa. «No, potrebbe cogliermi il sonno», disse rizzandosi sulle gambe e stropicciandosi gli occhi.

Si guardò intorno. La notte gli parve più incantevole ancora. Un bagliore strano e delizioso si fondeva al fulgore della luna. Egli non aveva assistito mai a una simile scena. Gli scendeva attorno, per tutto, una nebbiolina argentea. Il profumo dei meli fioriti e dei fiori notturni inondava la terra. Attonito, contemplava le acque immobili dello stagno. La vecchia casa signorile, rovesciata in quel limpido specchio, ivi sembrava serena, in una nitida maestà. Invece delle tetre imposte, erano aperte, come occhi, le liete vetrate delle finestre e delle porte: traspariva dalla loro limpidezza la doratura.

Ed ecco gli pare aprirsi una finestra.

Trattenendo il respiro, ma senza tremare e senza perder d’occhio lo stagno, egli sentesi trasportato nella profondità e vede:

Prima appare sulla finestra un braccio bianco, seguìto subito da una leggiadra testolina dagli occhi chiari soavemente scintillanti traverso onde di capelli d’un biondo scuro. Ella poggia il gomito, ed egli scorge... lei scuoter lievemente la testa, agitar le mani, sorridere... Il cuore gli sussulta a un tratto; l’acqua tremola e la finestra si chiude.

Egli si allontanò pian piano dallo stagno; e guardò la casa: le tetre imposte erano aperte; i vetri scintillavano ai raggi della luna. «Or ve’ come occorre dar peso alle ciarle della gente», pensò. «La casa è bella e nuova; i colori son freschi, vivi, come se essa fosse stata dipinta ieri. È abitata.»

E tacitamente si avvicinò.

Ma nella casa tutto era quiete.

I canti squillanti degli usignoli si rispondevano agili e sonori; e quando sembravano spirare nel languore e nell’abbandono, si udiva il fruscio, lo zirlare de’ grilli e lo stridere dell’uccello di palude che picchiava col luci-