Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/105

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TARAS BUL'BA

noncuranza e pensò: «Fortuna che nelle vicinanze non c’è un nemico forte e non c’è nessun pericolo!». Da ultimo s’accostò anche lui a uno dei carri, vi montò su e vi si mise a giacere supino, collocando sotto la testa le sue mani ripiegate indietro; ma non poteva prender sonno, e stette lungamente a guardare il cielo, tutto aperto davanti ai suoi occhi. L’aria era pura e trasparente; quella fitta moltitudine di stelle che forma la via lattea e come una fascia obliqua percorre il cielo, era tutta inondata di luce. Di tempo in tempo Andrea dimenticava se stesso, e una lieve nebbia di sonno copriva per un istante il cielo dinanzi a lui, ma poi la nebbia si dissipava e il cielo tornava ad essere visibile come prima.

In uno di quei momenti gli parve che balenasse all’improvviso dinanzi a lui una strana forma di volto umano. Pensando che si trattasse di una semplice illusione del sonno, che all’istante sarebbe svanita, aprí piú energicamente gli occhi, e vide che proprio si piegava sopra di lui una certa faccia esausta e scheletrita, e lo guardava fiso negli occhi. I capelli, lunghi e neri come il carbone, scarmigliati e arruffati, sfuggivano di sotto a una cuffia oscura che copriva la testa; e sia lo strano bagliore dello sguardo, sia il colore livido cadaverico del


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