Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/120

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GOGOL

si arrestava nell’aria in forma di nuvola accesa dall’arcobaleno. Andrea dal suo angolo oscuro guardava non senza stupore quel prodigio prodotto dalla luce. In quel momento il grandioso ruggito dell’organo riempí tutta la chiesa; si fece via via piú fitto, si accrebbe, esplose in gravi rombi di tuono, e poi, con improvviso mutamento, divenne musica celeste, levandosi in alto sotto le vôlte coi suoi toni sonori che sembravano voci delicate di vergini, e poi daccapo si trasformò in fitto ruggito e tuono, e si spense. Ma per un pezzo ancora, echi di tuono salivano vibrando sotto le vôlte, e Andrea, quasi a bocca aperta, ammirava quella musica grandiosa.

Intanto sentí che qualcuno lo tirava per il lembo del caffettano.

— È ora disse la tartara.

Traversarono la chiesa, senza che nessuno badasse a loro, e quindi uscirono in una piazza attigua. L’aurora già da un pezzo rosseggiava nel cielo; tutto annunziava il sorgere del sole. La piazza, di forma quadrata, era tutta vuota; nel mezzo rimanevano ancora dei piccoli banchi di legno a indicare che lí un tempo — magari fino a una settimana addietro — c’era un mercato di derrate alimentari. Le strade, che in quei tempi non si lastricavano, erano piene


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